L’algoritmo Google che trasforma in oro la lotta al copyright

Tempo di bilanci e consuntivi per l’algoritmo Google incentrato sulla violazione dei diritti d’autore. Sì, perché le armi in possesso in <<quel>> di Mountain View per combattere ed ammutolire l’ormai piaga copyright sembrano far leva su procedimenti variamente congegnati. E’ la strada battuta d’altronde da YouTube, nel quale campeggia ormai da qualche anno quel che è conosciuto sotto l’appellativo di Content ID. Trattasi nello specifico di un sistema di <<notifica e rimozione>>, che permette di riconoscere canzoni, film e più in generale contenuti protetti da copyright, segnalando conseguentemente al titolare di quest’ultimi l’indebito utilizzo. Due le strade al vaglio in presenza di un tale background: rimuovere il contenuto oggetto di contestazione oppure ricompensare il titolare dei diritti di copyright attraverso gli utili raggranellati dalla pubblicità.

L’algoritmo Google è insomma efficace, ed a riprova di ciò possono farsi riferimento ad alcuni dati condivisi dallo stesso colosso di Mountain View in queste ore. L’azienda americana, più volte criticata dai più per non far abbastanza nella lotta alla violazione dei diritti d’autore, risponde dunque a tono, snocciolando certezze e dimostrando a piene mani l’impegno contro la pirateria. Secondo Google, il programma Content ID su YouTube sta infatti riscuotendo appieno gli obiettivi prefissati. I numeri non lasciano d’altronde margini di incertezza, giacché il 98% della spinosa gestione dei copyright sulla piattaforma web di video sharing è legata per l’appunto alle soluzioni proposte da Content ID. Il 90% delle rivendicazioni a mezzo dell’algoritmo Google su YouTube si trasformano in monetizzazione, ed il 95% dei titolari di diritti d’autore scelgono di lasciare sulla piattaforma il contenuto caricato dall’utente, guadagnandoci pur tuttavia mediante la pubblicità.

Il gigante americano afferma che l’algoritmo Google a sfondo copyright genera profitti, perseguendo una strada diametralmente opposta rispetto a quel che invece potrebbe attuarsi: monetizzare piuttosto che cancellare. Ed anche qui i numeri <<nudi e crudi>> non lasciano adito ad incertezze: Google Play ha pagato più di 7 miliardi di dollari agli sviluppatori, mentre Content ID di YouTube ha fruttato l’interessante tesoretto di 2 miliardi di dollari all’industria musicale. Un tentativo insomma tangibile, ma che tuttavia sembra esser foriero di pareri negativi. La FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) critica Google <<perché può far molto di più per arginare la mole di di musica non autorizzata caricata su YouTube>>.

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