
E’ davvero curioso pensare che oggi la lista della spesa, una volta scritta su un foglietto a quadretti con la grafia minuta della nonna, possa essere compilata sulla base di video girati in verticale, spesso montati su una base di musica elettronica accelerata. Eppure è esattamente ciò che sta accadendo: TikTok, il social network nato per condividere brevi performance musicali, è ora protagonista anche in una sfera molto più concreta e quotidiana dell’immaginario collettivo — il carrello del supermercato.
Secondo un’indagine promossa da Bennet, riassunta nell’infografica “La spesa ai tempi di TikTok: come influisce sulle scelte degli italiani”, tra i principali nomi della grande distribuzione organizzata italiana, il 49% degli utenti attivi su TikTok ha provato una ricetta o visitato un supermercato dopo aver visto un contenuto sulla piattaforma. Non è tanto il dato numerico a colpire, quanto la sua implicazione antropologica: l’influenza del digitale non si limita più all’intrattenimento o alla comunicazione, ma si insinua nelle scelte materiali, nelle abitudini alimentari, nei gesti minimi del quotidiano.
In questa mutazione silenziosa, TikTok ha assunto la funzione che un tempo spettava ai cartelloni pubblicitari o alle voci dei commessi: orientare, suggerire, modellare il desiderio. Il fenomeno non è del tutto nuovo, ma la rapidità con cui si è imposto è inedita. Due italiani su tre ammettono di aver acquistato un prodotto scoperto sui social. Un numero che, più che fotografare una tendenza, disegna un cambio di prospettiva radicale nel rapporto tra consumatore e punto vendita.
La forza del social sta nella sua capacità di generare senso d’urgenza e appartenenza. L’hashtag #TikTokMadeMeBuyIt, sotto cui si raccolgono oltre dieci milioni di video, è una dichiarazione programmatica: l’atto d’acquisto non è più guidato da una necessità autonoma, ma dalla partecipazione a un movimento collettivo, caotico, irresistibile. Lo “Svuota la spesa”, declinazione italiana del trend, mostra utenti di ogni età che svuotano le buste della spesa davanti alla fotocamera, elencano i prezzi, recensiscono i prodotti, suggeriscono alternative. Non c’è ironia né posa, ma una sorta di verità grezza che funziona più di qualsiasi campagna pubblicitaria patinata.
In Italia, TikTok si piazza al quarto posto tra i social più usati. Il 41% della popolazione è iscritta e ogni utente vi trascorre in media oltre 32 ore al mese. Una cifra che restituisce l’idea di quanto profondo sia il legame instaurato con la piattaforma. Per la GDO — acronimo che sa di anni Novanta ma che oggi si sta riconfigurando con sorprendente agilità — questa è un’opportunità da non mancare. La scommessa è intercettare le nuove generazioni parlando il loro linguaggio, non per imitarle, ma per renderle interlocutori attivi.
Alcuni operatori, come la stessa Bennet, hanno cominciato a modificare la disposizione dei prodotti sugli scaffali in base ai contenuti che diventano virali, ad esempio creando aree tematiche ispirate ai trend del momento. Non solo: si sperimenta con contenuti brevi, ironici, immediati, in cui il supermercato diventa quasi un set cinematografico — o una piccola sitcom quotidiana.
A prima vista può sembrare una strategia leggera, frivola. Ma dietro questa estetica effimera si cela una comprensione profonda del comportamento d’acquisto contemporaneo. La Gen Z non vuole essere convinta: vuole riconoscersi. I contenuti che funzionano sono quelli che non cercano di vendere, ma di raccontare. Che non impongono, ma propongono. Il supermercato, in questa narrazione, diventa il luogo dove accadono le cose, dove si costruisce una microdrammaturgia della vita ordinaria.
Eppure non è tutto. Dietro l’ascesa di TikTok come nuovo consulente d’acquisti c’è un’altra domanda, meno ovvia, che resta ancora in sospeso. Riuscirà il social network ad equilibrare il giudizio e la curiosità individuale ad un criterio di scelta oggi legato anche ad una sorta di approvazione sociale?